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La lunga catena montuosa delle Ande parte dal centro America e si srotola senza interruzioni fino al Canale di Magellano
A sud del Magellano le Ande si sbriciolano in una immensità di isole la più grande delle quali è la Terra del Fuoco. I passaggi tra queste isole sono chiamati Canali Cileni e sono solo in parte cartografati perché nessuno perde tempo e soldi per scandagliare una zona dove transitano si e no una decina di imbarcazioni ogni anno.
Partiti da Ushuaia ai primi di aprile avevamo navigato per una cinquantina di giorni tra questi canali. Nella parte meridionale dell’arcipelago i ghiacciai arrivano fino al mare e gli albatros del grande Capo Horn volano sulle vette innevate. I boschi sono impenetrabili e si incontrano tutte le stagioni nell’arco di una giornata: sole, pioggia, neve, nebbia, vento, bonaccia. Spostandoci più a nord est un giorno, da un ancoraggio all’altro, era cambiato il clima: ora era più secco, meno variabile, c’era più sole e anche più caldo; avevamo attraversato in barca le ultime propaggini della catena delle Ande. Arrivati allo Stretto di Magellano eravamo usciti infine in Atlantico accolti da una burrasca che ci aveva bloccato per alcuni giorni a Capo Dungenes. Avevamo dato fondo su tre metri d’acqua ad un centinaio di metri dalla costa. Quando c’era la bassa marea la catena si stendeva pigramente in acqua e noi, in pozzetto, prendevamo il sole col maglione addosso. Quando c’era l’alta marea eravamo 11 metri più in alto, la barca era sferzata dalle raffiche, la catena era in tensione e il vento ci girava le orecchie dall’altra parte. Eravamo in compagnia di un rimorchiatore oceanico che lavorava alle piattaforme petrolifere a est del Magellano e che si era rifugiato come noi dietro al Dungenes, la prima imbarcazione che vedevamo da mesi. Finita la burrasca avevamo doppiato capo Virgines ed eravamo ripartiti verso il caldo nord per tornare in Italia.
Navigando nei canali ci eravamo abituati bene: sveglia all’alba, togliere gli ormeggi, partenza, colazione navigando, sosta, scelta del posto per fermarsi, ancora, cime a terra, giretto a terra, gran cena con vino argentino o cileno, nanna per tutta la notte. Ora eravamo tornati in mare e ci aspettava la solita vita di chi naviga in coppia: i turni. Marina era stanca di una vita scandita da “pozzetto cuccetta, cuccetta pozzetto”, non voleva più svegliarsi di notte e così eravamo arrivati ad un accordo: lei stava di turno il giorno e io alla notte.
Racconto di Galileo Ferraresi
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di Marina dei Cesari
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