La Moretta Fanese è un rituale che comincia nel mescolare nella giusta proporzione i componenti del prodotto di base: rum, anice e brandy. Le scuole di pensiero fanese e della tradizione vogliono che ogni bar o famiglia di fano serbi per sé il proprio segreto per miscelare i tre componenti nella maniera migliore secondo i propri gusti.
Diamo qui di seguito solo una indicazione di massima e qualche consiglio:
Occorre scaldare il mix di liquori, o l’apposito preparato che si trova in commercio (leggere sull’etichetta dell’eventuale prodotto se non sia già zuccherato), con zucchero e limone finché lo zucchero non è completamente fuso. Affinché questo composto non venga alterato dall’acqua accumulata nella cannetta della macchinetta del caffè espresso durante l’ebollizione, bisogna usare l’accortezza di liberare la canula con un getto di vapore a vuoto. Solo dopo aver scaldato a dovere la base per moretta, la differente densità di questo preparato rispetto al caffè permetterà che il caffè si adagi sul “letto” giallo oro del preparato formando i tre famosi strati della Moretta di Fano. La schiuma del caffè ne rappresenta il terzo strato.
A Fano il bicchiere utilizzato per la moretta è il classico bicchiere a vetro liscio da osteria, nel quale il caffè deve essere versato inclinando il bicchiere rispetto l’asse di caduta del caffè: in questo modo non colerà direttamente sullo strato giallo della base ma la caduta verrà attutita dal vetro (vedere video dimostrativo).
La consistenza della moretta perfetta è tale per cui i tre strati che ne compongono il corpo finale non si devono mescolare finché non siano agitati da un cucchiaino!
Fonte: www.morettafanese.it
Pesce alla griglia (rustita):
Il pesce viene cotto su appositi bracieri mobili detti “fugòn”. Le qualità più adatte sono: triglie, seppie, pannocchie, sogliole, sgombri, code di rospo, gattucce, pelosi (“pluss”), sardelle e sardoncini. D’estate se ne avverte spesso il caratteristico invitante odore lungo le spiagge quando i pescatori lo cucinano per i turisti che lo divorano a “scota det” annaffiandolo con generoso e fresco Bianchello del Metauro.
Secondo Paron Pipetta e Vittorio per ottenere una buona “rustita” bisogna disporre di ottimo pan grattato molto fino e asciutto. Per questo in molte case del porto prima di riporlo nella “credensa” per l’uso domestico si usa stacciarlo e farlo seccare al forno ben caldo per qualche attimo.
Dopo averlo pulito e ben lavato con acqua salata, il pesce deve essere asciugato con un panno. In mare i pescatori lo fanno asciugare all’aperto mettendolo “a sculon” in un paniere per una mezz’oretta. A parte, in un recipiente, si prepara un condimento di pan grattato, sale fino, pepe e prezzemolo e aglio tritati: per ogni 2 Kg. di pesce pulito si mettono 2 etti di pan grattato. A questo punto si comincia ad amalgamare il pesce con il condimento procedendo nel modo seguente: sul pesce sistemato nella “piâtna” si comincia a versare, lentamente, il condimento, si mescola il tutto in continuazione “sbalzando” il tegame senza toccare il pesce con le mani. Si continua ad aggiungere condimento e, quando ne é rimasto circa la metà, si comincia a versare l’olio di oliva. Si continua a “sbalzare” il recipiente e si finisce di versare, piano, piano, il restante condimento e l’olio d’oliva. Il pesce così condito viene sistemato tra due graticole, precedentemente unte, facendo attenzione di ben serrare i pesci tra loro in modo da non lasciare spazi liberi tra gli stessi. Il pesce va cotto sopra e sotto capovolgendo le graticole. Una volta cotto viene servito caldo con spicchi di limone.
Tratto da Tutti a tavola, le ricette della provincia pesarese di Valentino Valentini