L’Arco d’Augusto
L’Arco d’Augusto di Fano (PU) è la porta romana di accesso alla città nel punto in cui l’antica via Flaminia, in corrispondenza delle mura cittadine, s’innestava nel decumano massimo della città, segnandone così l’inizio. È da sempre uno dei simboli della città.
Storia e descrizione
Fu in epoca romana la principale porta d’accesso alla Colonia Julia Fanestris, colonia dedotta successivamente in Fanum Fortunae (tempio dedicato alla dea Fortuna) per il monumento erettovi dall’architetto romano Marco Vitruvio Pollione su incarico dell’Imperatore Augusto, in memoria dell’importantissima vittoria di Roma sul generale cartaginese Asdrubale Barca, nella battaglia del Metauro (seconda guerra punica).
Si presume che nella Fanum Fortunae esistessero almeno altre due porte, oggi scomparse, poste una a sud e l’altra, prossima al mare.
Costruito sul punto in cui la via Flaminia s’innesta nel decumano massimo della città, il monumento può essere datato attorno al 9 d.C. tramite l’iscrizione del fregio ricavata a grandi caratteri scolpiti nella pietra, (un tempo a bronzee lettere dorate) che riporta: « Imp. cesar divi f. Augustus pontifex maximus cos. XIII tribunicia potestate XXXII imp. XXVI pater patriae merum dedit » (« L’imperatore Cesare Augusto figlio del Divo Giulio Cesare, Pontefice massimo, Console XIII volte, Tribuno XXXII volte, Imperatore XXVI volte, Padre della Patria edificò le mura »)
Realizzata esternamente in blocchi squadrati di pietra d’Istria, la Porta d’Augusto si articola in due fornici laterali minori e un fornice centrale maggiore: la chiave di volta di quest’ultimo è decorata con una rappresentazione d’animale oggi non piu riconoscibile ma molto probabilmente raffigurante un elefante.
Il corpo base, ancora ben conservato, sosteneva un grande attico a pseudoportico corinzio in cui si aprivano sette finestre arcuate separate da otto semicolonne (ma diroccato nel 1463 dalle artiglierie di Federico da Montefeltro durante lo storico assedio della città per la cacciata di Sigismondo Pandolfo Malatesta allora signore di Fano), le pietre cadute furono riutilizzate nella costruzione delle adiacenti chiesa e loggia di San Michele il suo aspetto originario resta comunque ben rappresentato nell’altorilievo rinascimentale scolpito su un lato della facciata di questa chiesa.
L’intero monumento ha molte affinità stilistiche con le porte augustee di Spello, di Aosta e soprattutto con quella di Authon in Provenza.
FONTANA DELLA FORTUNA
Anche i Fanesi vollero una fontana, importante, decorativa, scenografica. Quale miglior ubicazione, allora, se non il cuore della città? Fu così che Piazza Maggiore venne arricchita dalla cosiddetta “Fontana della Fortuna”.
Il primo problema fu, ovviamente, quello di alimentarla, dal momento che l’antico acquedotto romano era periferico. Il 20 febbraio 1576 l’acqua giunse per la prima volta in piazza e fu solo allora che la fontana, di cui si avevano notizie già dal 1552, divenne funzionante.
Si trattava di una fontana ottagonale, di stile rinascimentale. Solo successivamente fu abbellita con una statua raffigurante la dea Fortuna, a ricordo di quella divinità che ebbe un tempio a lei dedicato, quel fanum che diede il nome alla città.
La statua venne fusa nel 1593 dall’urbinate Donnino Ambrosi, ma solo nel 1611 ebbe il posto cui era destinata, relegata, fino a quel momento, in una nicchia della residenza comunale. Fino allora, infatti, la nudità di quella statua riempì di scrupoli la coscienza di alcuni magistrati, al punto che la fecero tener nascosta nella nicchia suddetta.
Attualmente l’originale della statua della Fortuna è conservato nel Museo Civico, mentre sulla palla posta al centro della “fruttiera” si trova una copia moderna in bronzo. Una curiosità colpisce l’occhio attento del visitatore: il velo svolazzante della dea è rivolto nella direzione contraria a quella dei capelli della stessa; questa, che da molti fu ritenuta un’incongruenza, da altri, invece, è considerata un’arguta simbologia del carattere “sfuggente” della fortuna.
In un documento del 1697 si parla, per la prima volta, di “nuova fontana”. Il restauro che da anni si andava progettando consistette in un radicale cambiamento: la fontana ottagonale venne sostituita con quella quadrangolare tutt’ora esistente, di gusto baroccheggiante, policroma e ornata di leoni e di delfini, con alternanza di linee rette e curve. Il progetto fu, con ogni probalità, del veneziano Ludovico Torresini.
La Fontana della Fortuna è stata raffigurata nella serie di francobolli emessi dalle Poste Italiane nel 1978, dedicati alle fontane d’Italia.
Fonte: www.valle metauro.org
UN BELLISSIMO ANEDDOTO
Nella Pinacoteca civica di Fano è conservata una bellissima tela, “L’angelo custode”, dipinto dal Guercino e vanto del nostro museo. L’opera è accompagnata da un aneddoto che non tutti conoscono. Nel secolo scorso, Robert Browning, poeta inglese, uno dei più importanti dell’età vittoriana, durante una permanenza nel nostro paese fece tappa a Fano annunciatagli come una cittadina molto accogliente.
Qui casualmente entrò nella chiesa di S. Agostino e rimase estasiato dalla visione del quadro del Guercino “l’Angelo custode”. Tale fu l’ammirazione che alla tela volle dedicare una poesia.
All’inizio del secolo scorso, uno studioso del Browning, il professore Lyon Phelps della Yale University, si recò a Fano, accompagnato da alcuni suoi studenti, per ammirare dal vero quel dipinto di cui tanto bene aveva sentito parlare dal Browning. Anche lui e i suoi allievi non seppero resistere alla suggestione che tanti anni prima aveva colpito lo scrittore inglese e decisero di fondare un Fano Club in America.
L’unica condizione necessaria per appartenere al Club era quella di trovare una cartolina con il dipinto raffigurato e spedirla con annullo postale di Fano. Il Professore e gli studenti così fecero, spedendo circa 75 cartoline in America, ma la sfortuna volle che fosse l’anno 1912 e che quelle cartoline fossero state imbarcate sul Titanic!
Fonte: proloco Fano
The Guardian Angel – A picture at Fano
I.
Dear and great Angel, wouldst thou only leave
That child, when thou hast done with him, for me!
Let me sit all the day here, that when eve
Shall find performed thy special ministry,
And time come for departure, thou, suspending
Thy flight, mayst see another child for tending,
Another still, to quiet and retrieve.
II.
Then I shall feel thee step one step, no more,
From where thou standest now, to where I gaze,
—And suddenly my head is covered o’er
With those wings, white above the child who prays
Now on that tomb—and I shall feel thee guarding
Me, out of all the world; for me, discarding
Yon heaven thy home, that waits and opes its door.
III.
I would not look up thither past thy head
Because the door opes, like that child, I know,
For I should have thy gracious face instead,
Thou bird of God! And wilt thou bend me low
Like him, and lay, like his, my hands together,
And lift them up to pray, and gently tether
Me, as thy lamb there, with thy garment’s spread?
IV.
If this was ever granted, I would rest
My bead beneath thine, while thy healing hands
Close-covered both my eyes beside thy breast,
Pressing the brain, which too much thought expands,
Back to its proper size again, and smoothing
Distortion down till every nerve had soothing,
And all lay quiet, happy and suppressed.
V.
How soon all worldly wrong would be repaired!
I think how I should view the earth and skies
And sea, when once again my brow was bared
After thy healing, with such different eyes.
O world, as God has made it! All is beauty:
And knowing this, is love, and love is duty.
What further may be sought for or declared?
VI.
Guercino drew this angel I saw teach
(Alfred, dear friend!)—that little child to pray,
Holding the little hands up, each to each
Pressed gently,—with his own head turned away
Over the earth where so much lay before him
Of work to do, though heaven was opening o’er him,
And he was left at Fano by the beach.
VII.
We were at Fano, and three times we went
To sit and see him in his chapel there,
And drink his beauty to our soul’s content
—My angel with me too: and since I care
For dear Guercino’s fame (to which in power
And glory comes this picture for a dower,
Fraught with a pathos so magnificent)—
VIII.
And since he did not work thus earnestly
At all times, and has else endured some wrong—
I took one thought his picture struck from me,
And spread it out, translating it to song.
My love is here. Where are you, dear old friend?
How rolls the Wairoa at your world’s far end?
This is Ancona, yonder is the sea.
L’Angelo Custode – Un dipinto a Fano
I.
Caro e grande Angelo, se tu volessi soltanto lasciare
Quel fanciullo, quando avrai finito con lui, per curarti di me!
Permetti che io sieda qui tutto il giorno, affinché quando la sera
Troverà compiuto il tuo particolare incarico
E tempo verrà di ripartire, tu, differendo
Il tuo volo, possa scorgere un altro fanciullo da custodire,
Un altro ancora, da calmare e salvare.
II.
Allora ti sentirò muovere un passo, uno solo, non più,
Da dove ora stai, verso il luogo dove io ti contemplo,
– E all’istante il mio capo sarà ricoperto
Da quelle ali, bianche sul fanciullo che prega
Ora su quella tomba – e sentirò che tu vegli
Su me, trascurando tutto il resto del mondo: per me, lasciando
Quel cielo lassù la tua casa, che t’attende ed apre la sua porta!
III.
Non vorrei alzare lo sguardo al di là del tuo capo
Perché la porta s’apre, come fa quel fanciullo, lo so,
Poiché vorrei contemplare invece il tuo benigno volo.
Tu, o uccello di Dio! E tu mi piegheresti in basso.
Come a lui, e metteresti, come le sue, le mie mani insieme
E le eleveresti a preghiera, e delicatamente tratteresti
Me, come il tuo agnellino là, col tuo manto svolazzante.
IV.
Se ciò mi fosse mai concesso, vorrei restare
Col mio capo sotto il tuo, mentre le tue mani guaritrici
Accostate – mi coprirebbero gli occhi accanto al tuo petto.
Ridando al cervello, che il troppo pensare affatica,
Di nuovo la primitiva freschezza, e spianando
Le rughe finché ogni nervo sia disteso,
E tutto ritorni calmo, felice e sereno.
V.
Come ben presto ogni male del mondo sarebbe riparato!
Immagino come vedrei la terra e il firmamento
E il mare, quando di nuovo la mia fronte sarà scoperta
Dopo la tua cura, con che diversi occhi.
O come Dio ha fatto il mondo! Tutto è bellezza:
E conoscere questo, è amore, e amore è un dovere.
Che altro si deve ricercare o proclamare?
VI.
Guercino dipinse quest’Angelo che vidi istruire
(o caro amico Alfredo!) quel fanciullino a pregare,
Giungendogli le manine, una sull’altra
Delicatamente permute, – col proprio capo rivolto altrove
Sopra la terra dove davanti a lui rimane tanto
Lavoro da compiere, benchè il Cielo stava aprendosi sopra di lui.
Ed egli fu lasciato a Fano presso il litorale.
VII.
Venuti a Fano, per tre volte andammo
A sederci per vederlo là nella sua cappella,
E bere la sua bellezza fino alla soddisfazione del nostro spirito
– Angelo mio resta ancora con me: da allora m’interesso
Della fama del caro Guercino (la cui autorità
E gloria vengono da questo quadro come una dote,
Pieno come è di così magnifico sentimento), –
VIII.
E poichè egli non lavorò con tanto impegno
In ogni tempo, e talvolta ha patito alcuni torti –
Presi quell’idea che il quadro suscitò in me,
E la espressi, traducendola in poesia.
Il mio amore è qui. Dove sei tu, caro vecchio amico?
Come scorre il Wairoa nel tuo lontano paese al limite del mondo?
Pandolfo Malatesta, un super eroe.
Pandolfo III Malatesta, il Signore che resse le terre di Fano nella seconda metà del 1300 e rese la città capitale di un piccolo stato che confinava addirittura con la signoria milanese e la repubblica veneta, usava indossare durante le battaglie sotto l’armatura un corpetto dalle fattezze simili a quelle dei moderni giubbotti da motociclista. La sorprendente scoperta si deve allo studio ed al restauro del Farsetto, capo di abbigliamento ritrovato sulla mummia del condottiero e caratterizzato da proprietà ergonomiche che per quel tempo potevano essere considerate addirittura “tecnologiche”. Il reperto, unico nel suo genere, è stato ritrovato pressoché intatto addosso al corpo mummificato del signore di Fano, quando il 3 giugno del 1995, è stata aperta la sua tomba situata nel loggiato dell’ex Chiesa di San Francesco.
Questo capo di abbigliamento rosso e oro che, dalle ricerche svolte, risulta essere l’unico esemplare al mondo giunto fino ai giorni nostri e, dunque, di un valore inestimabile, è esposto nel Museo Civico di Fano custodito in una teca in plexiglass in cui temperatura ed umidità sono controllate. Accanto è esposto un manichino che indossa lo stesso giubbotto ricostruito da abili restauratrici che hanno cercato di riempire i vuoti delle parti mancanti.
La leggenda narra che i Visconti, signori di Milano e nemici giurati dei Malatesta, non contenti di essersi ripresi Bergamo e Brescia nel 1421, avessero anche trafugato il corpo di Pandolfo III Malatesta che tanti guai aveva loro causato. La leggenda, però, si sbagliava. Infatti solo nel 1995 fu ritrovato a Fano, durante i restauri della Chiesa di San Francesco, il corpo di Pandolfo III Malatesta, in condizioni talmente buone che per ben due anni venne messo a disposizione degli studiosi che ne stabilirono le cause della morte, i malanni in vita e, addirittura le abitudini alimentar