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L’ARALDICA DEI MARINAI DI FANO

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Le vele al terzo dei pescherecci avevano segni distintivi per ogni barca e ogni famiglia. A Fano ritroviamo ancora molti di questi simboli riportati sulle facciate delle case dei marinai. L’Associazione Il Ridosso ci racconta in questo articolo l’Araldica dei marinai di Fano

Le immagini dell’articolo sono tratte dalla tesi Magistrale di Michele Omiccioli “Storia e cultura della marineria fanese

Fino alla fine degli anni Trenta, la navigazione e la pesca avvenivano in Adriatico con le vele che servivano alla propulsione della barca ma avevano anche altri scopi e significati.

Le vele che armavano i trabaccoli, le paranze o le altre piccole imbarcazioni da pesca (il barchetto, il bragozzo, la lancia) erano generalmente le vele al “terzo” così dette perché l’antenna che sosteneva la parte superiore della vela era posta sull’albero ad un terzo della lunghezza dell’antenna stessa. Erano vele trapezoidali, eredi della vela latina.

La costruzione di una vela richiedeva grande cura e “l’arte del velaio” era esercitata sia da uomini che da donne. Queste ultime si dedicavano al taglio e alla cucitura del tessuto, mentre il lavoro di finitura era eseguito dagli uomini. Il confezionamento delle vele era a volte casalingo e seguiva un cerimoniale quasi scaramantico che, come spesso accade per le cose di mare, rendeva questo lavoro ricco di significato. Comunque, a parte le pur interessanti qualità marinare e le tecniche di fabbricazione, il segno distintivo delle vele al terzo in Adriatico era senza dubbio la loro colorazione e i loro disegni.

LA COLORAZIONE E LE TECNICHE

I barchet con le vele al terzo affollano il porto canale di Fano alla fine dell’800

La tinteggiatura dei tessuti velici era fin dall’antichità finalizzata a limitarne l’usura, soprattutto dalla salsedine e dai raggi solari, ma l’iconografia in uso fino a pochi decenni fa ci rivela che quelle pitture e quei disegni caricavano le vele anche di significati e simboli. Ogni vela doveva essere dipinta in modo diverso secondo la barca e la marineria di appartenenza ed era un vero e proprio segnale di riconoscimento.

I colori usati erano sempre forti e luminosi. Si usavano terre colorate e, secondo la marineria di appartenenza, diverso era l’uso e il peso che ciascun colore aveva nell’insieme del disegno Anche le figure e i disegni geometrici delle vele erano spesso simili, ma combinati in maniera diversa tra loro secondo il gusto particolare del proprietario. A Fano i colori dominanti erano rosso carminio, rosso mattone, giallo oro, nero.

Le vele erano di cotone e venivano stese in banchina dove paròn e marinai, inginocchiati, attingevano la tinta con grosse spugne, larghi pennelli o, addirittura, con scope di saggina e la spargevano a larghe bracciate sulla tela riscaldata dal sole, da un lato e, una volta asciutta, sul lato opposto. I colori disponibili sul mercato erano pochi però bastavano per rendere caratteristica la fattura dei disegni. Tracciati con il carbone i contorni, il disegno veniva eseguito aggiungendo ai colori alcune sostanze collose (come resine naturali) per aumentarne la tenuta nel tessuto.

La diversa colorazione delle vele rendeva visibile e riconoscibile l’imbarcazione anche da molto lontano.

Barche in entrata e in uscita nel canale d’ingresso di Fano

Per esempio, facilitava l’avvistamento da riva molto prima che l’imbarcazione giungesse al porto, permettendo ai commercianti di pesce di predisporre quanto necessario per lo sbarco e il trasporto del pescato nei luoghi di vendita.

Nei giorni di tempesta, avvistare la barca del proprio caro era importante per i famigliari quando le donne, madri, sorelle e mogli dei marinai, avvolte in scialli e incuranti delle intemperie, si raggruppavano sul molo per scrutare il mare in tempesta in attesa di riconoscere le vele dei loro cari in avvicinamento.

Una piccola statua in bronzo di una donna con il proprio figlio tra le braccia è posta dal 2004 sul molo di ponente del porto di Fano, in memoria della tragedia dell’8 giugno 1964 quando un’improvvisa tempesta causò danni e perdite umane e in ricordo di tutti i caduti del mare.

In un’epoca nella quale non esistevano altri strumenti, vedere l’imbarcazione da lontano evitava che le altre ne intralciassero la rotta o ne danneggiassero le reti. Durante le frequenti nebbie autunnali ed invernali che limitano la visibilità a soli pochi metri, vedere altre eventuali imbarcazioni sulla propria rotta anche con pochi secondi di anticipo, poteva evitare gravi incidenti.

Infine, a quel tempo i pescherecci erano impegnati nella pesca anche più di 14 giorni consecutivi e non attraccavano in porto per conferire il pescato ma usavano piccole lance a remi per il trasporto. Una volta scaricato a terra il pescato e imbarcate le vettovaglie necessarie per proseguire la pesca in alto mare, i battellanti preposti a questo compito dovevano tornare remando verso il proprio peschereccio, che era ancora in pesca e, quindi, si era nel frattempo spostato. Risultava quindi importante identificare con certezza da lontano il battello di appartenenza.

Il rivestimento pittorico e cromatico delle vele serviva anche a caratterizzare e a distinguere le varie famiglie di marinai. Questa esigenza di distinzione dagli altri, pur nell’integrazione del gruppo, la si ritrova, per esempio, anche nella tradizione di affibbiare a ciascun componente della comunità un soprannome che traeva spunto da qualche curiosa vicenda vissuta o dal carattere del marinaio, un soprannome unico e inconfondibile.

ARALDICA FAMILIARE

La rappresentazione grafica dei principali simboli marinai a Fano

I disegni delle vele rispecchiavano, nella simbologia, la cultura marinara specifica di riferimento. A Fano vi erano alcune forme geometriche semplici ricorrenti, la cui scelta era evidentemente determinata dalla consuetudine locale.

I più diffusi erano: la punta, el très, la scala, i gràd, el boli, el sciòn, la tvaja. La punta era l’angolo superiore della vela dipinto di colore diverso dal corpo e terminante, nella parte larga, con un linea curva, oppure inclinata o, raramente, dentata; el très, non traducibile in italiano, era un semicerchio che faceva di contorno alla punta, separandola dal corpo della vela; la scala era invece una serie di gradini che dividevano obliquamente il corpo della vela da circa la metà del lato obliquo superiore fino all’angolo opposto alla punta; i gràd, così detti in quanto ricordano per la loro forma i gradi militari, sono strisce poste a contorno della punta con forma triangolare; el boli era invece un disco di colore nero, solitamente posto nella parte bassa della vela; el sciòn, anch’esso non traducibile in italiano, era un triangolo isoscele il cui lato più stretto toccava un bordo della vela e la punta il bordo opposto; infine la tvaja (la tovaglia), che era un semplice rettangolo posto in basso con un lato sul bordo anteriore della vela. Raramente erano inseriti motivi non geometrici (come il “tre di bastoni” o l’”asso di bastoni”)

Ancora oggi a Fano molte case dei pescatori sono decorate con piastrelline di ceramica che riportano il numero civico oltre ai simboli velici della famiglia. Simboli mantenuti vivi con orgoglio anche se oggi i pescherecci sono tutti a motore e le vele al terzo colorate sono solo un ricordo. Uno dei quartieri più affascinanti a Fano dove ancora viva è questa tradizione è El Gugul. Da visitare!

Il caratteristico quartiere El Gugul uno dei più affascinanti a Fano

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