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IL GIARDINO DELLE ROSE PERDUTE

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La signora delle rose, Rosetta Borchia, da vent’anni cerca e pianta nel suo giardino le rose antiche, una ricchezza del Montefeltro, da proteggere

De Tomassi- Garofoli

 

L’amore e la rosa, ovvero Rosetta Borchia. Una bella signora che forse per assecondare il destino suggeritole dal nome, ha dedicato la sua vita alle rose.  Ma non certo a quei fiori recisi smaglianti e senza odore che si trovano dal fioraio. Lei, cagliese di nascita e urbinate d’adozione, cerca, studia, coltiva e diffonde le “Rose antiche del Montefeltro”.

Cosa vuol dire rosa antica? Si tratta di varietà naturali, che non sono state sottoposte ad alcun trattamento o ibridazione. Fino al Settecento quando le rose antiche hanno iniziato a essere ibridate con quelle provenienti dalla Cina, per ottenere varietà rifiorenti. Da quel momento si parla di rose moderne

La rosa antica è quella selvaggia, robusta, che resiste alla siccità e al gelo, alle intemperie e all’abbandono, profumatissima.

Sono rose che incantano anno dopo anno, secolo dopo secolo, che continuano a mantenere intatto il loro fascino. Queste rose hanno un bagaglio talmente grande che ammirarle è come osservare un dipinto, o come leggere un libro. Queste rose raccontano.

Nel mondo delle rose, le rose antiche rappresentano una vera e propria finezza, apprezzata soprattutto dagli appassionati di giardinaggio, una chicca in giardino, un qualcosa di raro e prezioso.

Oggi possiamo racchiudere le rose antiche in quattro grandi famiglie: Galliche, Damascene, Albe, Centifoglie, e i loro colori variano tutte dal bianco al rosso.

Ebbene, nel Montefeltro, oltre al patrimonio artistico e culturale, dobbiamo sapere che anche le rose antiche rappresentano un bene da tutelare e da salvare al più presto.

Allora andiamo a trovare la “signora delle rose”, lassù a Ca’ Broccolo, in località Maciolla, tra le soffici colline d’Urbino, nel giardino che si arrampica come una prua ventosa sorvegliata da una parte dal Catria e dal Nerone, e dall’altra, dal sipario boscoso del Casentino.

Andiamo nel Giardino delle rose perdute a passeggiare tra siepi  ondeggianti color porpora, lilla, magenta, viola, bianco crema, a scoprire le grandi rose rigate e venate, maculate, e quelle piccole rosso carminio e color latte, rose vive, che cambiano colore dei petali ogni giorno, che mandano i loro messaggi odorosi di pepe e spezie, resina, limone, muschio e cannella. Andiamo a scoprire la rosa del Soffio e la Hermosa, la Rugosa e l’Alba Massima. E lei, la favorita, Madame Hardy, una damascena perlacea poetica e gentile che ornava i giardini di re e regine.

Ma dove sopravvivono queste odorosissime rose antiche del Montefeltro? Rosetta, per anni, ha compiuto un suo pellegrinaggio solitario ed emozionante: è andata  in giro a cercarle nei cimiterini di campagna,  nelle chiesette rurali, si è arrampicata sui ruderi di case contadine abbandonate, ha scrutato vicino alle cappelle dei pellegrini, o accanto alle edicole dedicate ai santi o alla Madonna.

« Dall’inizio di questo innamoramento, – spiega Rosetta- leggo tutto il possibile, sono collegata con i grandi collezionisti europei, soprattutto inglesi e francesi, e sono riuscita a dare un nome a quasi tutte le rose antiche che ho trovato. Penso che il Montefeltro potrebbe tornare ad essere un giardino rinascimentale, se la gente conoscesse questo immenso patrimonio di biodiversità e imparasse a proteggerlo».

Rosetta Borchia, diplomatasi all’Accademia di Belle Arti di Urbino, è la Signora delle rose ma anche una Cacciatrice di Paesaggi. Nel 2006 infatti, mentre scattava foto, si è accorta che il paesaggio che stava fotografando assomigliava molto alla collina ritratta sotto il mento di Federico da Montefeltro del Dittico dei Duchi di Urbino, una delle opere più famose di Piero della Francesca.

L’intuizione si è trasformata in certezza quando a suffragarla sono arrivati gli studi geomorfologici di Olivia Nesci, geologa dell’Università di Urbino. Quindici anni dopo, grazie a queste due donne “cacciatrici di paesaggi”, sappiamo che sono sette le opere di Piero della Francesca con paesaggi reali del Montefeltro marchigiano e romagnolo e, scoperta ancora più clamorosa, la Gioconda di Leonardo che ritrae nello sfondo il territorio di Pennabilli nel Montefeltro riminese, con il Roccione, il Monte Costagrande, l’abitato e il ponte sul Marecchia.

Luoghi reali e non immaginari ritratti dai due grandi pittori per le loro opere.

Negli ultimi anni, grazie al  progetto Montefeltro Vedute Rinascimentali, sono nate postazioni di osservazione dei paesaggi dalle quali è possibile affacciarsi e riconoscere nel dettaglio i fondali reali di dipinti celeberrimi. Si tratta di sette balconi costruiti e posizionati tra le province di Rimini e Pesaro-Urbino nelle valli del Marecchia e del Metauro, dai  quali sembra di poter “entrare” nel dipinto. Per saperne di più  https://marinadeicesari.it/paesaggi-invisibili-2/


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